La concezione del Potere del Popolo nasce nella polis greca, teorizzata dalla scuola dei Sofisti. Il pensiero filosofico segue sempre la realtà come giustificazione e sistemazione teorica di essa.
In Atene, soprattutto, il sistema sociale era cambiato con l’emergere della classe media che si era affermata economicamente grazie alle proprie capacità, alla propria intraprendenza e al proprio impegno. Assunto il potere economico era necessario legittimare quello politico di contro alla tradizione che considerava il potere di origine divina. A ciò provvidero i Sofisti che ricondussero all’uomo, nella sua individualità, il principio di ogni verità. L’uomo è misura di tutte le cose, delle cose che sono in quanto sono e delle cose che non sono in quanto non sono, affermava Protagora, per cui il Bene coincideva con l’utile del più forte. Proprio per questo Socrate e poi Platone contrapposero l’uomo ragione all’uomo corporeità sensoriale dei Sofisti.
L’insegnamento dei Sofisti serviva alla classe emergente per sviluppare nei giovani quelle capacità che avrebbero permesso loro di primeggiare sugli altri, di affermarsi e di ottenere ricchezza e prestigio. Non era più la nascita a determinare il valore sociale del singolo ma la sua abilità e il successo, la capacità di emergere. Di contro all’aristocrazia che rivendicava i suoi diritti di discendenza si ergeva il diritto del popolo perché chi emergeva per le sue abilità, emergeva dal popolo.
Dopo l’età di Pericle, con Aristotele, accanto alla monarchia e all’aristocrazia viene ormai definitivamente riconosciuta la democrazia. Sono tre forme di società che Aristotele riconosce ufficialmente come forme positive di governo, anche se esse possono facilmente degenerare, rispettivamente in tirannia, oligarchia e demagogia, dove l’arbitrio di un, di pochi o di molti mette a rischio la convivenza umana.
Tuttavia, sulla scia di Socrate, Platone aveva teorizzato una Repubblica aristocratica del pensiero perché espressione dell’anima umana. Nel mito della biga alata, egli considera l’anima come una realtà composita: un auriga, un cavallo bianco e un cavallo nero. Essi rappresentano la razionalità, l’irascibilità e la concupiscibilità. L’anima razionale, l’auriga, quando non riesce a governare i due cavalli, l’anima irascibile e l’anima concupiscibile, precipita nel mondo dove sconta la sua debolezza (è in effetti quello che nella Bibbia è il peccato originale), per cui, come nella civiltà orientale, l’esistenza è la conseguenza del peccato in una vita precedente. In questa vita l’anima razionale deve recuperare il controllo delle altre due e ciò è possibile in uno Stato in cui i governanti, l’anima razionale, esercitino il potere, per pagare il loro debito e conseguire la sapienza; i guerrieri, l’anima irascibile, conquisti la virtù del coraggio e i produttori, l’anima concupiscibile, la moderazione. In tal modo l’armonia dell’anima, guidata dalla razionalità, potrà tornare al proprio Paradiso Terrestre, il Mondo delle Idee.
Si configura con Platone, così, una costituzione aristocratica della società, in cui il potere venga esercitato non come premio ma come dovere dai migliori, da coloro che più degli altri abbiano attuato la loro razionalità e quindi operino non per cupidigia, per interesse, per ricevere onori ma per il Bene comune
La Repubblica di Platone è stata definita utopia e lo è se pensiamo a chi ha detenuto il potere non soltanto nella storia passata, ma anche nel presente!
Dal quinto secolo a.C. la democrazia non ha avuto storia per molti secoli. Anche nella Repubblica Romana non si può ritrovarla. Già dalla fondazione dello Stato romano torna l’origine divina con i successivi Re di Roma, poi la dizione Senatus Populusque Romanus nasconde la realtà, perché i Senatori erano l’espressione delle Famiglie più in vista. Di fatto la Plebe restava sì, come proclamava Menenio Agrippa, parte di un corpo organico, ma di fatto senza alcuna funzione direttiva, per cui il popolo restava solo di nome di fronte ad una minoranza aristocratica detentrice del potere.
Solo dagli inizi del primo millennio, con la crisi del sistema feudale, cominciano quelle trasformazioni sociali che porteranno alla nascita delle città che riproporranno ed attueranno la struttura sociale della polis greca.
Vittorio Pratola
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