Il passaggio dall’acquisizione del potere economico a quello politico è breve.
Intanto i grandi feudatari continuavano a difendere e a cercare di rafforzare il loro potere soprattutto nei confronti dei riottosi minori feudatari e della piccola nobiltà. In tal modo il territorio per il commercio si ampliava e si rendeva più sicuro, in quanto le gabelle, che si moltiplicavano ed erano imprevedibili nel passaggio da un territorio ad un altro, diminuivano e potevano essere sostenibili dai commercianti.
Si instaurava, di fatto, una tacita alleanza tra il grande feudatario, ormai dichiaratosi Re, e l’alta borghesia cittadina nei confronti della media e piccola nobiltà. Il primo infatti poteva contare sui proventi delle tasse per armare i suoi eserciti e portare avanti le sue conquiste; la seconda vedeva garantita la sua attività economica, difesa, sostenuta ed incrementata dalla politica espansionistica del sovrano: nasce lo Stato moderno sulle ceneri del sistema feudale.
In appena due secoli si costituiscono, in Europa, forti Stati monarchici, come Inghilterra e Francia dove la intensa crescita economica favorisce il rafforzamento del potere economico della borghesia che ha sviluppato arti e mestieri con conoscenze scientifiche e innovazioni tecniche molto rilevanti. Ormai il ruolo di finanziatore della politica reale non basta più a questa borghesia che già nel secolo diciassettesimo rivendica e conquista il potere politico.
In Inghilterra Oliver Cromwell realizza la conquista del potere politico, quando nel 1659, per la prima volta nella storia, un sovrano, Carlo primo, viene legittimamente processato, giudicato e giustiziato.
Ciò che si è realizzato nella società inglese trova subito la sua giustificazione sul piano teorico dal pensiero che ripropone la centralità dell’uomo, già invocata nell’antica cultura della polis greca. Non è più l’uomo di Protagora misura di tutte le cose che sono in quanto sono e delle cose che non sono in quanto non sono, l’uomo individuo sensoriale che afferma che il bene è l’utile del più forte. Non è neanche l’uomo socratico che è l’individuo che esiste per tornare a Ftia, alla propria patria, al mondo della Verità intellettiva, al mondo della Razionalità. E’ l’uomo sociale, è la natura umana che è depositaria del diritto, ossia dei principi su cui si costruisce la legge e quindi il potere dello Stato.
Hobbes e Locke sono i due grandi teorici del giusnaturalismo inglese, il primo per legittimare il potere assoluto del sovrano, il secondo quello del popolo. Ogni uomo nasce, per sua natura, per ambedue, con tutti i diritti , e vive per attuarli e conservarli.
Per Hobbes ciascuno è homo hominis lupus, è cattivo perché rivendica i suoi diritti nei confronti degli altri e la lotta comporta la vittoria del più forte, per l’affermazione della sua vita, e la morte dell’altro. Essendo possibile che il vincitore trovi uno più forte di lui, all’infinito, nasce lo Stato. Per conservare il diritto più importante, che è quello della vita, tutti gli uomini rinunciano a ogni altro loro diritto. E’ un contratto fra uguali al quale non partecipa colui a favore del quale viene concordata la rinuncia per cui il suo potere diventa assoluto, il Leviatano. E’questa la legittimazione della monarchia che, di fronte al costituirsi di nuove forze sociali, non può più legittimarsi con il principio dell’eredità divina o storica.
Anche Locke parla di contratto. Gli uomini rinunciano temporaneamente, ossia delegano, ma non se ne alienano, al diritto a farsi giustizia e lo affidano allo Stato, la cui funzione è quello del cane da guardia che, se viola i diritti dei cittadini, può e deve essere condannato, come Carlo primo.
Per la prima volta nella storia viene teorizzato il principio che il potere deriva dal popolo, cioè dalla comunità degli uomini, dalla natura umana, anche se di fatto lo costituiscono soltanto la media e l’alta borghesia, coloro che detengono il potere economico.
In Francia, più di un secolo dopo, con la Rivoluzione Francese, sarà sempre la borghesia che riuscirà a sovvertire l’ordine sociale, ma questa volta con l’aiuto e la partecipazione di forze ben più consistenti di quelle che avevano combattuto in Inghilterra. L’attacco alla Bastiglia vede impegnate le masse popolari il cui impeto sfocia nel periodo del Terrore. Le masse però non hanno mai un’anima e ben presto il ceto medio, con il Direttorio, riprende le redini, assumendo il potere dello Stato. Anche in Francia, pur se momentaneamente sono apparsi i ceti più umili della società, è sempre la borghesia ad identificarsi con il Popolo; la Rivoluzione Francese ha posto i principi della democrazia moderna: Liberté, Egalité, Fraternité.
Occorre aspettare la Rivoluzione industriale, che matura nella seconda metà dell’ottocento e nella prima metà del novecento, perché il concetto di popolo assuma una nuova consistenza, includendo le nuove forze che sono venute emergendo: il proletariato. Il ceto operaio è divenuto indispensabile per la produzione industriale.
La scalata al potere politico da parte del proletariato è lenta e molto difficile, ma progressiva e sempre più consistente. Basta pensare all’incidenza elettorale che assumono le grandi città industriali in Inghilterra nei confronti dei cosiddetti borghi putridi, dove solo chi ha un reddito ha diritto al voto. Solo nel ventesimo secolo si arriva prima al suffragio universale maschile, per i maggiorenni di almeno ventuno anni e successivamente per il vero suffragio universale maschile e femminile.
A questo punto si può parlare di Popolo da cui discende il potere, anche se il popolo di fatto non ha il potere.
Vittorio Pratola
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