6. La democrazia: costituzione e struttura.

   I principi di ogni stato democratico sono quelli proclamati dalla rivoluzione francese: liberté, égalité, fraternité.  Sono principi ideali che rimangono tali, proprio perché continuamente proclamati e rivendicati da chiunque voglia conquistare il potere.

   Quasi sempre lo Stato democratico nasce da una guerra o da una rivoluzione e quindi da un’azione violenta in cui c’è chi soggiace e chi vince, diventando la Legge che condanna il vinto.  Nascono così le Costituzioni che, rivendicando la loro legittimità come espressione della volontà del Popolo, in realtà sono il risultato del compromesso dei diversi interessi delle forze in campo che costituiscono la forza vincente, espressi, delineati e interpretati da rappresentanti che impongono il loro punto di vista.

   Certo il presupposto esplicito è il Bene di tutti che resta l’ideale valore giustificativo, ma di fatto il risultato resta la particolare, soggettiva, prospettica elaborazione di pochi che, per la loro posizione nel conflitto, si presentano come espressione della volontà popolare.  Sono, in realtà, capi appartenenti alla gerarchia di potere di gruppi molto limitati, spesso neanche eletti ma tacitamente accettati.  Sono questi eletti che fondano le Democrazie, cioè gli Stati in cui il Popolo è Sovrano.

   In democrazia la maggioranza vince e la minoranza accetta la limitazione delle sue richieste o, meglio, dei suoi interessi.  Certo la maggioranza, per non perdere il suo ruolo, non può non ascoltare la minoranza e quindi deve necessariamente scendere a compromessi, ma anche la maggioranza è, a sua volta, un coacervo di interessi che hanno delle convergenze ma anche tante differenze e diversità notevoli.  Per questo le maggioranze cambiano volto quando le forze interne che le costituiscono cambiano perchè aumentano o diminuiscono la loro forza contrattuale.

  Tradizionalmente si parla di tre poteri dello Stato democratico: il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario e, sulla scia delle teorizzazioni settecentesche, della loro indipendenza reciproca.  In realtà i poteri nello Stato democratico sono un numero indefinibile a partire da quello dei partiti, dei movimenti, delle associazioni, delle mafie, dei gruppi occulti e chi più ne ha più ne metta, tra legittimi ed illegittimi. 

   Tutti i gruppi di potere, dai più piccoli ai più grandi, da quelli legittimi a quelli illegittimi, da quelli palesi a quelli occulti, proprio perché gruppi di potere, esercitano il potere e gravano sul Popolo ossia su chi e quando non fa parte di un gruppo di potere e quindi sulle masse, perché tutti anche se appartenenti a uno o più gruppi sono fuori da molti altri.

    La stessa struttura del gruppo è piramidale, come quella del sistema feudale.  Nel gruppo, come nel branco, c’è un capo o ci sono più capi e poi, a discendere, dei sottocapi che esercitano il potere ossia la prevalenza dei loro interessi sugli altri.  Il gruppo, come il branco, ha il suo territorio di caccia che contende agli altri, che difende e che cerca di allargare.  In questa lotta, che ricorda quella dell’homo homini lupus teorizzata da Hobbes, è necessario trovare un punto di convergenza, una sorta di compromesso che resta sempre fluido ed instabile.

Come si è detto, il potere è l’espressione della forza dell’uomo singolo che si impone sull’altro e la forza cresce con il gruppo: l’unione fa la forza, recita un vecchio adagio.  Il gruppo esercita il potere nel suo territorio ma nel gruppo è sempre il singolo che detiene il potere.

In democrazia i poteri legislativo ed esecutivo sono rappresentativi, in quanto deputati e senatori sono eletti a suffragio universale e il governo è una loro emanazione.  E’ sempre il risultato della volontà dellla maggioranza, ossia di interessi particolari, anche se gli elegibili non sono scelti dal Popolo, ma da gruppi di potere che sono all’interno dei partiti e quindi dai capi di questi gruppi più o meno forti, ma sempre operanti attraverso il partito.  Il Popolo è chiamato ad avallare la scelta decisa da uno o da pochi di tanti partiti che si contendono il potere.  Quando un delegato ha ottenuto i voti necessari ad essere eletto non risponde più ai suoi elettori ma alla logica di potere delle forze che sono operanti nel partito e di volta in volta anche a quella degli altri partiti che costituiscono la maggioranza o a quella dei partiti di opposizione.  In tal modo il presunto potere del popolo si annulla nel potere dei gruppi molto ristretti dei dirigenti dei partiti o meglio al compromesso degli interessi di molteplici gruppi che trovano il loro equilibrio nelle decisioni di pochi. 

   La democrazia parlamentare deriva tutto dal popolo ma ripropone al popolo un potere che non è né unico né uniforme, né costante.  Oltre ai poteri costituzionali, ci sono tanti altri poteri, compresi quelli occulti, che si combattono e contemporaneamente si sostengono a vicenda, e ognuno esercita il suo potere, per cui tutti i cittadini, nel momento in cui non sono elementi di un gruppo, subiscono gli innumerevoli poteri che costituiscono lo Stato democratico.  E’ il risultato dell’estrema forma di individualismo in cui l’interesse del singolo condiziona e determina tutte le relazioni umane.  Dai massimi poteri legittimi dello Stato, giù giù attraverso tutti gli altri poteri che si affollano nella struttura sociale, cercando di ritagliarsi uno spazio e un territorio di potere, si scende fino alla violenza delle piccole bande di criminali, delle bande minorili e alla fine alla violenza domestica.

   D’altra parte un potere che si origina dalla violenza dell’uomo sull’uomo non può perdere nella dimensione della società la sua natura di prevaricazione e di esaltazione dell’interesse di uno nei confronti di tutti gli altri o di alcuni nei confronti di altri.

Vittorio Pratola

Lascia un commento