11. La democrazia: l’uguaglianza.

Il secondo ideale fondativo della democrazia, derivato dalla Rivoluzione Francese, è l’uguaglianza, ma questa è soltanto un’utopia improponibile, ingiustificabile e assolutamente inesistente in Democrazia.

   Ogni uomo è diverso da ogni altro uomo: il codice genetico, perfino nei gemelli monozigoti è diverso, così come sono diverse, anche se non è del tutto acclarato, le impronte digitali.  Nell’ipotalamo, il cervello conserva l’ancestrale retaggio filtrato attraverso gli antenati, fino ai genitori e che, pur comune a tutti, è irripetibile in ciascuno.   Fin dall’inizio della vita intrauterina la corteccia cerebrale si struttura in relazione alle esperienze che l’individuo fa; sensazioni, suoni, movimenti e umori della madre vanno ad incidersi su di essa, diventando condizioni di ricettività e di assorbimento delle successive esperienze, ma anche la corteccia cerebrale è sempre strettamente collegata con l’ipotalamo.  E’in fondo la relazione, delineata da Sigmund Freud, tra Es, io e super-io, tra inconscio, subconscio e coscienza.  Ogni uomo è un risultato genetico ma contemporaneamente un risultato storico, legato alle sue esperienze al modo come sono state integrate con il genetico, al modo come esse si sono articolate fra di loro e all’incidenza che hanno avuto nel momento in cui sono avvenute.  L’uomo è un essere dinamico, nel senso che l’innato e l’acquisito, compenetrandosi, costituiscono la sua dimensione unica, la sua diversità rispetto a tutti gli altri.

   In democrazia si parla acriticamente di uguaglianza di tutti i cittadini.  A parte le differenze genetiche, esistono le differenze economiche, le differenze sociali, le differenze culturali che incidono profondamente sulla dimensione di ogni individuo.  Una effettiva uguaglianza sarebbe possibile soltanto se tutti i cittadini avessero lo stesso punto di partenza per poter realizzare se stessi, attivando le proprie potenzialità e realizzando le proprie aspirazioni, ma ciò è impossibile, perché la democrazia si fonda sulla diversità dei cittadini o meglio sulla loro gerarchizzazione. 

   La personalità si realizza grazie agli stimoli che l’ambiente ci propone, grazie alla molteplicità di esperienze che possiamo far nostre attraverso la trasmissione di esperienze altrui.  Più è ampio l’orizzonte di queste esperienze più possibilità ha l’individuo di diversificare la sua dimensione personale.  E’, in fondo, quell’apertura mentale che genericamente si dice essere di chi ha viaggiato molto, di chi ha fatto esperienze diverse che lo hanno reso disponibile ad uscire dai propri schemi mentali perché capace di comprendere gli altri.  La funzione della scuola dovrebbe essere quella di far uscire ogni giovane dagli schemi ristretti del suo ambiente, di farlo viaggiare attraverso il tempo e lo spazio ad incontrare le conquiste degli uomini e farle proprie, ad acquisire alternative di comportamento, a confrontare modi di vivere, di agire e di attuare i propri criteri di esistenza.  Una volta, nel medioevo, i discepoli seguivano i maestri, cercavano di prendere da chi era capace e creativo il meglio per farlo proprio e per superare lo stesso maestro.  La scuola, cosiddetta democratica, propone modelli educativi riduttivi e conservativi: si adegua alla mediocrità per essere democratica, senza pensare che in tal modo impedisce quelle differenziazioni individuali in cui consiste realmente l’uguaglianza.  Chi vive in un ambiente degradato culturalmente, chi resta chiuso nel suo mondo limitato e limitante di esperienze non può usufruire nella scuola di stimoli, di esperienze, di sollecitazioni, di comportamenti che possano farlo crescere.

   In democrazia, di fatto, l’uguaglianza consiste nel lasciare ciascuno solo con sestesso: può fare quello che vuole, può dire quello che vuole, è libero di affermare le sue opinioni. Certo il principio ideale sembra stupendo, ma totalmente falso se si pensa ai condizionamenti economici, ai condizionamenti sociali, alle contingenze ambientali e alle esperienze di vita del tutto diverse da ceto a ceto e da individuo a individuo. Se un individuo resta chiuso in un mondo limitato in cui le sollecitazioni restano ripetitivamente sempre le stesse, con l’assillo della soddisfazione dei soli bisogni primari dell’esistenza, non può crescere, non può trovare e tanto meno cercare qualcosa che è al di là del suo mondo, dei suoi condizionamenti sociali e culturali.

  In democrazia si dichiara l’uguaglianza di tutti i cittadini, a parole però.  Si può rilevarlo a cominciare dalla scuola: la scuola pubblica, la scuola dell’obbligo scolastico.  Tutti hanno diritto ad esser educati, a saper leggere e scrivere, ad avere un’istruzione minima per esercitare la propria libertà.  Nel tempo si è passati dalla scuola elementare a quella media ed ora si parla di arrivare a frequentare la scuola fino alla maggiore età.  Tutti debbono poter conseguire un diploma di scuola media superiore: è una questione di giustizia e di uguaglianza.  Ma l’uguaglianza si è realizzata abbassando sempre più il livello culturale.  E’ l’uguaglianza formale di chi ha conseguito un diploma, magari con il sei politico; è la scuola del popolo dalla quale fuggono i figli di chi ha una posizione rilevante nella società democratica.  La scuola di Stato è la scuola del popolo, ma i figli dei potenti o dei benestanti frequentano le scuole private o le scuole estere, dove si consegue un’effettiva preparazione non soltanto culturale, ma anche comportamentale, perché essi dovranno dirigere il Popolo, perché essi debbono essere i potenti di domani.  In democrazia, in fin dei conti, l’uguaglianza consiste nella possibilità di ogni uomo di poter sopravvivere nella sua limitatezza. 

   D’altronde la stessa struttura dello Stato democratico, che risulta da una molteplicità di gruppi di potere, impedisce che la scuola possa essere un ambiente che dia a tutti le stesse possibilità di crescita e di realizzazione delle proprie capacità.   A parte le numerose eccezioni individuali, il corpo docente non accoglie i migliori, i maestri, perché in una società fondata sugli interessi di parte non c’è valorizzazione della loro funzione, né stimolo ad impegnarsi.  Spesso molte persone che non trovano altri sbocchi lavorativi, senza preparazione, senza un vero interesse e senza impegno, vanno ad intrattenere i giovani, non ad educerli a farli uscire dal proprio mondo limitato, soprattutto perché non né hanno la capacità.

   Inoltre l’uguaglianza formale, in modo offensivo e farisaico, esplode nella terminologia ufficiale quando un povero bambino o un uomo ritardato mentale è un diversamente abile, o un cieco è un non vedente, perché gli eufemismi eliminano le differenze che caratterizzano e debbono caratterizzare gli esseri umani.  In che cosa sono uguali i bambini dell’alta borghesia, dei tecnocrati, dei politici, dei plutocrati, di chi detiene un potere e i bambini disadattati, i figli degli indigenti, gli orfani abbandonati o affidati a istituzioni più o meno benefiche o chi vive in ambienti degradati?   E’ come dire che se prendessi un bambino di una tribù dell’Amazzonia e lo inserissi in una classe di bambini romani lo avrei reso uguale agli altri soltanto perché lo ritengo diversamente abile! 

   Forse il Messaggio cristiano è il solo che ha indicato in che cosa consista l’uguaglianza degli uomini.   Per il Cristianesimo l’uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio e ogni uomo è uguale solo a sestesso, perché Dio dà a ciascuno un numero diverso di talenti, ossia di potenzialità che possono attivarsi e moltiplicarsi o restare infruttifere.  Ciò che rende uguali gli uomini è la loro volontà di diversificarsi dagli altri in un processo di autodeterminazione che, in fin dei conti, coincide con la sua libertà: libertà di essere se stesso, libertà, come scelta consapevole, di autocrearsi, ossia di attuare qualcosa che prima non c’era come proprio arricchimento.  L’uguaglianza non è nel punto di arrivo, intesa come conseguimento degli stessi livelli, degli stessi parametri che, in democrazia, coincidono con il conseguimento di un diploma formale: è l’uguaglianza del punto di partenza, ossia possibilità di non avere impedimenti alla propria realizzazione. 

Vittorio Pratola

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