Una prima grande e grave conseguenza a livello socio-politico si è avuta sul piano dell’educazione: il sei politico nelle scuole medie e il ventisette politico nelle università non si possono negare a nessuno, perché sono un diritto, così come un diploma che spetta a tutti e che se non è concesso dallo Stato si può e si deve prendere attraverso compiacenti scuole private. A livello individuale è aumentata la fragilità dei giovani, incapaci di affrontare le difficoltà della vita, le situazioni relazionali ed il confronto democratico: la fragilità diventa solitudine, la solitudine debolezza, la debolezza aggressività e violenza.
Sul piano sociale, la teoria dell’avere diventa negazione del dare: chi ha ricevuto non deve più dare perché ormai è suo tutto quello che ha ottenuto: è l’affermazione dell’egoismo e la negazione della socialità. Anche in tal modo l’individuo viene rigettato nella solitudine della sua individualità e quindi nella sua debolezza che fa riemergere l’aggressività e la violenza. E su chi si scarica questa violenza? Su chi è più debole. E l’un l’altro si rode di quei che un muro ed una fossa serra. Ahi serva Italia di dolore ostello: la storia ed il passato non hanno insegnato nulla e le false conquiste economico-sociali hanno rigettato l’individuo, nella sua debolezza impotente, alla ferocia bestiale che diventa l’ultima ed unica forma di difesa. L’animale braccato e senza possibilità di fuga non può far altro che aggredire.
Sempre più la società moderna va esasperando l’individualismo che si configura come solipsismo che genera e rende patologica la paura di perdere quello che si considera un proprio avere: l’individuo nella massa è sempre più solo, sempre più alla ricerca di un suo rifugio dove chiudersi in se stesso e proteggere accanitamente, fino alla distruzione, i propri beni, cose e persone. Basta pensare allo sciamare dalle fabbriche e dagli uffici, agli ingorghi delle auto in cui ciascuno, chiuso nel suo guscio metallico, cerca di uscire dalla massa, nell’ossessiva ricerca della propria solitudine, per rendersi conto di quanto oggi la solitudine regni nella nostra società. Basta pensare agli enormi edifici delle periferie o ai condomini delle città, dove ognuno vive nel suo guscio e non conosce neanche i suoi vicini. Basta pensare all’indifferenza, sempre più diffusa di ciò che, nelle strade, capita ad altre persone: se subiscono un’aggressione o aggrediscono, c’è chi resta a guardare, indifferente ed estraneo e chi non vuole vedere neanche e va oltre; non è un mio problema e non mi interessa: … e l’un l’altro si rode di quei che un muro ed un fossa serra…. (ahi serva Italia di dolore ostello) la storia non ci ha insegnato nulla e il passato resta uguale nel presente.
I grandi ideali, che pure ci sono stati sempre nel passato come lo sono ancor oggi, anche se molto poco incidenti, non riescono a sollecitare quel naturale bisogno dell’uomo di uscire dal proprio egoismo individualistico, per assumere una dimensione in cui si senta momento attivo ed essenziale di un organismo superiore. Far parte di una comunità, che valorizzi l’apporto individuale e dia la consapevolezza dell’indispensabilità dell’altro, genera il rispetto dell’altro e favorisce l’esaltazione dell’essere.
Il diffondersi della corsa all’avere nella società, trova il suo corrispettivo e la sua forza espansiva nella corsa al potere politico, nella struttura della democrazia, perché potere è uguale ad avere. Basta pensare all’involuzione sempre più accentuata che si è determinata nell’impostazione dell’attività dei partiti.
I grandi partiti che si sono affermati nel secolo scorso fondavano la loro attività e i loro programmi su ideali superindividuali che riuscivano a coagulare gli interessi particolari, in funzione della realizzazione di un bene comune ed impegnavano i singoli a partecipare attivamente e a dare il loro contributo al progresso della società. Era la lotta per la conquista dei diritti fondamentali del cittadino che si sentiva anche come dovere da compiere a vantaggio anche degli altri, e quindi come compito sociale.
I programmi dei partiti diventavano così la motivazione e la giustificazione comune a tutti coloro che facevano parte del movimento, dai dirigenti ai simpatizzanti, e che dava a ciascuno la convinzione di essere momento essenziale di un’entità superiore. L’individuo usciva dall’ambito ristretto ed egoistico del proprio avere e valorizzava il suo essere nel dare il proprio contributo alla crescita sociale.
( continua)
Vittorio Pratola
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