4.LA VIOLENA e la violenza sulle donne.

L’ontogenesi ripercorre la strada della filogenesi e nell’età evolutiva dell’essere umano il ricorso alla violenza fisica è una naturale manifestazione.  Fra gli adolescenti, ma non manca nell’età precedente, è evidente e diffuso il rapporto conflittuale fondato sulla forza fisica e quindi sulla violenza.  Il più debole è destinato a soccombere se non interviene l’adulto.  L’adulto rappresenta il gruppo, o meglio la forza del gruppo che coincide con il dovere ossia con il rispetto dell’altro come momento essenziale della forza del gruppo che è la propria forza.  Quando viene a mancare questo dovere si formano le bande giovanili, così diffuse nella nostra società, fondate sulla violenza conflittuale decrescente nel gruppo, a danno di altri.

   Nella democrazia moderna, strutturata come le bande giovanili e quindi fondata sulla forza individuale contrapposta a quella degli altri, viene meno la forza corale del gruppo sociale.  In altri termini la forza si incrementa piramidalmente, mentre nella società umana la forza deve incrementarsi orizzontalmente. Ogni singolo individuo viene rigettato nella sua solitudine impotente e regredisce in comportamenti primordiali che non sono più in grado di procurargli quello spazio vitale di cui ha bisogno.  Chiuso in una dimensione sempre più ristretta si comporta come l’animale braccato e senza via di scampo.  Aggredisce e sfoga la sua impotenza e la sua rabbia su chi è più debole di lui e che gli è più vicino. 

   Le donne, insieme ai minori, sono nella cerchia fisica dell’individuo e diventano le vittime della sua reazione violenta.

   La violenza tuttavia non è soltanto di genere, anche se è attualmente prevalente quella maschile nella nostra società.  Ne sono un esempio le manifestazioni pseudo femministe ormai all’ordine del giorno, nelle piazze, nei cortei, nelle relazioni politiche e sociali, nel bullismo femminile, nelle aggressioni delle borseggiatrici e delle rapinatrici.   I fatti di cronaca ne sono l’indice:  mamme che uccidono i propri figli, maestre che terrorizzano i piccoli allievi, infermiere che torturano malati ed anziani, perfino conventi di suore di ordini religiosi, dove giovani extracomunitarie sono trattate come schiave.

   Il domani non si presenta roseo, ma la Speranza è l’ultima a morire, anche perché, dopo ogni grande tragedia, l’umanità ha dimostrato di sapersi riscattare, riscoprendo la sua pietas, di virgiliana memoria, nella luce di ideali che accomunano gli uomini.

   La storia ci insegna che non sono i potenti a rinunciare ai propri privilegi, né le masse di coloro che non hanno né diritti, né un minimo di forza per sopravvivere da soli.  Chi ha molto o ha tutto si barrica nel proprio avere, chiudendosi ad ogni rapporto con gli altri.  Chi non ha nulla e si identifica con il suo nulla è aggressivo e violento in ogni rapporto con gli altri.  Sia gli uni che gli altri riducono se stessi a ciò che hanno:  il loro essere è il loro avere.

   Per fortuna l’umanità non si esaurisce nelle due situazioni estreme di esistenza;  accanto ad esse coesistono uomini  che, anche se non hanno, riescono ad essere, perché operano, perché danno, incrementano la loro esistenza di una laboriosità che va oltre la loro dimensione finita.  E’ l’homo faber fortunae suae di rinascimentale memoria e che è fondamento della civiltà umana.

( Vittorio Pratola )

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