LA SECONDA REPUBBLICA

1° puntata

Pubblico solo oggi, a puntate, per non stancare il lettore, poche riflessioni che scrissi per la cosiddetta fine della Prima Repubblica, perché ritengo che già d’allora erano evidenti i segni dell’involuzione politica degli Stati occidentali, cosiddetti democratici, o meglio dell’emergere e del concretizzarsi delle contraddizioni di una società democratica, fondata sulla ideologia liberale del settecento.  E’ un’involuzione che potrebbe, anche se nulla è prevedibile nella storia dell’uomo, portare alla morte delle moderne democrazie. Ogni prodotto umano porta in sé e con sé la contraddittorietà costitutiva dell’uomo stesso, come individuo, che è egoista naturalmente e che non può esserlo se non in una società.  In particolare lo Stato democratico, cosiddetto liberale, si fonda su principi che sono inconciliabili fra di loro e che nell’evoluzione sociale si negano vicendevolmente, come cercherò di evidenziare successivamente.

^^^^^^^^^^^^^^

La seconda Repubblica italiana non è ancora effettivamente nata ed è già morta.

Non si può parlare di Repubblica prescindendo da qualcosa che sia veramente “pubblico”, che sia comune se non a tutti i cittadini almeno ad una parte di essi.

Se non c’è un ideale, un valore, un interesse al quale più individui possano sentirsi legati ed attraverso il quale possano sentirsi realizzati, l’unica soluzione è l’anarchia negativa, quella mancanza di potere che non significa massima esplicazione e affermazione di ciascuno nel complesso delle identità totalmente autonome l’una rispetto alle altre, ma che si esaurisce nella rivendicazione egoistica dell’ interesse particolare del momentaneo e contingente  utile individuale.

La Prima Repubblica italiana ha avuto una sua valenza, una sua storia e un suo significato:  essa è nata e si è venuta costituendo intorno all’idea della lotta di classe e sul principio dell’uguaglianza e della libertà come processo di liberazione. Sulle ceneri e dalle ceneri di una esperienza negativa, negativa non tanto in sé quanto piuttosto perché sentita come tale dopo che ben poco sembrava essere cambiato in un ventennio, era venuto accentuandosi il bisogno e la volontà delle classi proletarie di giungere al potere e di gestirlo in modo più equo; esse erano sostenute e giustificate, nonché spronate, da quegli esponenti della pseudo-cultura italiana, che tanto spesso successivamente sono tornati alla ribalta della nostra storia, i quali, come i topi che lasciano la nave che affonda, si dichiaravano espressione di una sinistra democratica e riformista e si autoproclamavano avanguardie rivoluzionarie del nuovo momento storico, affiancandosi e quasi sempre sostituendosi successivamente a quei pochi, veri intellettuali che si erano battuti per il loro ideale di libertà.  I veri rappresentanti del proletariato e degli emarginati erano proprio costoro che nulla pretendevano di ricevere in cambio ma che quasi sempre avevano pagato di persona.

Le trasformazioni economico-sociali dell’Italia avevano infatti permesso il costituirsi di forze contrapposte che, tuttavia, avevano dei punti di riferimento comuni grazie ai quali potevano far convergere i loro interessi perché potevano o credevano di riconoscersi in principi ideali che ad essi erano in qualche modo legati.

C’era, in altri termini, un parametro al quale facevano riferimento tutti e che rappresentava perciò il connettivo unitario delle forze in campo.

V. Pratola

Lascia un commento