2a puntata
Da una parte si proponevano le forze proletarie che rivendicavano la giustizia sociale, attraverso l’attuazione di una società social-comunista. Esse si ispiravano alle realizzazioni del socialismo reale delle nazioni dell’est europeo, le quali apparivano capaci di eliminare le ingiustizie sociali, avendo superato, subito dopo una seconda terribile guerra mondiale, i difficili momenti delle trasformazioni iniziali ottenute per mezzo di una sanguinosa rivoluzione.
Nell’ideale di giustizia e di uguaglianza sociale, che vivificava la loro azione, si coagulavano gli interessi di quelle masse che si erano sentite emarginate durante il ventennio fascista e, anche se con diversificazioni e sfaccettature spesso notevoli, potevano costituire un fronte abbastanza omogeneo e, in molte occasioni, capace di diventare esaltante per i singoli che si sentivano inseriti in una forte organizzazione in crescita inarrestabile.
Dall’altra si contrapponevano le forze moderate, ispirate ai principi liberali e cattolici, che vedevano nel socialismo reale degli Stati dell’est la negazione della libertà individuale e dei valori dello spirito, nonché dei loro interessi particolari. Queste forze erano infatti unite fra loro soprattutto dalla paura che il movimento proletario potesse avere il sopravvento e privarli dei loro piccoli o grandi privilegi, come la proprietà della terra per i contadini, la proprietà della casa o le differenze sociali per i ceti medi.
Di fatto le rivendicazioni individuali, perché di rivendicazioni individuali si trattava in realtà da una parte e dall’altra, accomunavano sia le classi proletarie, sia le altre classi, in riferimento ad un problema comune che investiva la conservazione o la trasformazione o, meglio, la distruzione di un sistema sociale. Per questo la Prima Repubblica è potuta nascere sul compromesso che da una parte salvava le rivendicazioni sociali, con il loro fondamentale principio di uguaglianza e di equità, e dall’altra ciò che contraddistingueva le prerogative individuali.
Ciò tuttavia che ha cementato la Prima Repubblica è stata la presenza e la forza dei partiti. Questi, già dal primo dopoguerra, si sono costituiti in strutture burocratiche fortemente e capillarmente organizzate che hanno rappresentato il punto di riferimento ed operativo delle masse: ogni individuo poteva sentirsi tutelato da un partito o da un altro, in quanto entità superindividuale, mai identificabile completamente con un esponente particolare o con un altro. Inserito in una realtà organica in cui si riconosceva, egli si sentiva nello stesso tempo autonomo ed operativo, per cui andava oltre se stesso, si sentiva momento attivo di una realtà che lo esaltava. In altri termini i partiti avavano fornito alle masse dei punti di riferimento per mezzo dei quali l’interesse individuale poteva acquisire una veste legale e una validità che andava al di là dell’orizzonte limitato del singolo. Questi non può sentirsi solo senza giungere alla propria negazione e senza sentirsi impotente: entrare a far parte, anche se in effetti soltanto psicologicamente, di un organismo più grande dà la possibilità di sentirsi forte e di diventare capace di combattere. Il convincimento che il proprio interesse particolare non era la molla del proprio impegno, perché le proposte e il programma del partito perseguivano un bene che era al di là dei singoli, amalgamava le coscienze e le faceva sentire partecipi di valori universali che occorreva perseguire e attuare. La lotta politica pertanto diventava una crociata del bene contro il male e si ammantava di una sacralità che derivava dal convincimento di essere depositari della Verità che occorreva far trionfare.
Basta pensare all’impegno di tante persone, non soltanto iscritte ai partiti ma anche semplici simpatizzanti, per rendersi conto di quale carisma abbiano goduto i partiti che, al di là delle loro traversie interne, al di là del susseguirsi e del rinnovarsi dei programmi legati alle contingenze temporali, al di là dei mutamenti dei vertici, sono riusciti a polarizzare le masse e ad orientarle verso comportamenti che sarebbe stato impossibile far assumere dai singoli in condizioni diverse.
V. Pratola
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