3a puntata
La Prima Repubblia è nata non dal popolo, né per volontà del popolo: essa è nata grazie a degli ideali in cui i singoli individui hanno visto esaltati i propri legittimi interessi e per tali ideali a volte hanno anche rinnegato o meglio risolto ed annullato tali loro interessi. Il popolo è stato uno strumento inconsapevole, una massa orientata e guidata dall’esterno, senza un’anima interiore, senza una volontà propria, ma la struttura che ne è derivata aveva una sua consistenza, un suo significato e in ultima istanza una sua unità ed un suo valore.
La nuova Repubblica è nata per l’esaurimento fisiologico della prima. I partiti si erano tutti costituiti e si erano rafforzati perché avevano potuto ammantare ogni loro impegno, ogni loro programma, ogni più semplice decisione con il valore ideale del Bene comune da difendere e da salvare: la giustizia sociale, il valore dello spirito, il diritto alla proprietà erano come un sottofondo costante ed immutabile che dava consistenza e unitarietà alle azioni quotidiane e che infervorava gli animi rafforzando sempre più il convincimento interiore di essere nel giusto, indipendentemente da ciò che accadeva volta per volta, anzi a conferma della validità di esso.
Con il trascorrere degli anni è venuto trasformandosi l’assetto sociale: le classi hanno mutato la loro fisionomia e la lotta di classe ha perduto il suo significato proprio perché si è verificato un progressivo appiattimento degli interessi dei singoli. Questi sono venuti ad annullarsi in una massa amorfa in cui non si sentivano più tutelati e in cui non avevano alcun punto di riferimento. Restavano soli con i propri particolari interessi che non potevano non scontrarsi con quelli altrettanto particolari di tutti gli altri.
D’altra parte la società industrializzata ha favorito la corsa al consumismo e in tal modo ha annullato proprio quella lotta di classe che era maturata inizialmente nel suo seno. Livellando tutti gli individui, rendendo unico per tutti il fine immediato della conquista dei beni materiali, li ha per ciò stesso contrapposti ed isolati, in un’accentuazione parossistica dell’affermazione di sé di contro agli altri. L’individualismo esasperato ha fatto crollare tutti i miti, tutti gli ideali e l’uomo si è ritrovato solo, solo con sé stesso, oppresso dal senso del limite della propria individualità.
I partiti politici che, pur nelle loro differenze di programma e di colorazione, erano di fatto, come si è detto, l’espressione di una situazione storica ben determinata, non potevano non subire contemporaneamente la situazione di crisi che investiva la dimensione sociale. Essi infatti avevano una radice unica e comune nella struttura socio-economica che si era definita lungo tutto il secolo diciannovesimo e che era giunta al suo pieno compimento nel ventesimo. Questa aveva fatto emergere e diventare trainanti il significato e il valore della socialità, dando cioè la certezza della realizzabilità dei principi di uguaglianza e di fratellanza di cui la Rivoluzione Francese si era fatta portabandiera.
L’idea, fino ad allora concepibile soltanto per gli intellettuali, diveniva visibile, si potrebbe dire concreta, agli occhi delle masse, non soltanto perché si poteva guardare al Socialismo reale, ma soprattutto perché era vissuta momento per momento, era divenuta il pane quotidiano degli spiriti, era stata acquisita come verità che non aveva più bisogno di essere dimostrata. Inoltre aveva una portata operativa ed associativa, in quanto si poteva vedere realizzata soltanto a livello sociale, soltanto attraverso una trasformazione delle strutture economiche, soltanto attraverso la compartecipazione spontanea o imposta di tutti.
Era una portata che, ad esempio, non aveva avuto il messaggio cristiano il quale aveva soddisfatto il bisogno umano di avere un proprio spazio, esaltato all’infinito dal rapporto con la divinità, ma non aveva avuto lo stesso effetto socializzante. Ciascun uomo poteva rivendicare la dignità propria e di tutti gli altri senza necessariamente chiedere e pretendere il loro impegno e la loro partecipazione, in quanto il concetto di persona rendeva l’uomo partecipe di due dimensioni in cui quella divina poteva restare indipendente da quella terrena.
V. Pratola
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