2a puntata
D’altra parte l’imbarbarimento della politica, se così possiamo e dobbiamo chiamarla, deriva dalla natura stessa della democrazia, perché il potere del popolo è esercitato non dal popolo ma, formalmente per il popolo, da chi lo ha assunto in qualche modo; nella democrazia esso è espressione di una maggioranza manipolata da un gruppo di tanti gruppi che fa capo a una minoranza sempre più ristretta. Infatti la cosiddetta maggioranza è soltanto la maggioranza di quei cittadini che continuano a votare e che sono sempre meno, fino a non raggiungere il cinquanta per cento degli aventi diritto.
Se il processo di concentrazione del potere arriva al suo culmine, la democrazia è morta in quanto, come diceva Aristotele, quando la democrazia diventa demagogia, arriva la tirannia. Oggi, purtroppo, la maggior parte dei politici sono, per un falso e improprio concetto di uguaglianza, degli arrivisti senza scrupoli, spesso incapaci di svolgere le funzioni che un politico dovrebbe avere, arrampicatori sociali che i detentori effettivi del potere portano al loro fianco proprio per difendere e rafforzare il loro potere.
E’ in questo clima che è sempre più facile vedere azioni politiche demagogiche che, a loro volta, provocano la violenza sociale, frantumando i vincoli di solidarietà che dovrebbero caratterizzare una società civile: la massificazione diventa riduzione dell’individuo in se stesso, senza possibilità di confrontarsi con l’altro e la stessa struttura sociale tende sempre più ad appiattirsi in basso. Aumentano le masse perché gradualmente scompaiono le classi e la lotta tra di esse, che in qualche modo favoriva un riscatto individuale sempre più esteso, lasciando il posto ad una violenza endemica tra singoli, ognuno solo contro tutti gli altri. E’ la frantumazione della società che sfocia nell’individualismo più sfrenato, con un conseguente ritorno alla ferinità dell’uomo primitivo: la violenza di ogni genere. La solitudine genera l’angoscia della propria insufficiente precarietà e il risentimento nei confronti di se stesso e degli altri. Diventa sempre più urgente il bisogno di uscire dalla propria solitudine e nascono le bande minorili e non, le sette misteriche, le consorterie le più disparate, in cui e per cui sentirsi più forti, confortati e sostenuti.
Un’altra contraddizione insita nelle società democratiche occidentali e che ormai è esplosiva è il retaggio del liberalismo settecentesco.
Nella teorizzazione del padre del liberalismo, John Locke, l’uomo nasce con tutti i diritti naturali, tra cui i più importanti sono il diritto alla libertà e quello alla proprietà privata. D’altra parte egli era un rappresentante della borghesia inglese che ormai aveva assunto il potere economico e pretendeva anche quello politico, per cui è facilmente comprensibile la sua posizione. Conseguentemente lo Stato non è un’entità superindividuale, ma il risultato di un contratto sociale in cui il cittadino delega temporaneamente il suo diritto a farsi giustizia, quando, e soltanto, i suoi diritti vengono lesi. Essendo lo Stato uno dei contraenti del contratto, anch’esso può essere condannato se viola il contratto e il cittadino si riappropria del diritto naturale. Da qui la giustificazione teorica della condanna a morte di Carlo primo, eseguita nel 1649.
La società si configura come un insieme di entità complete in se stesse, autosufficienti e autorealizzantisi, che non hanno nessun bisogno di rapportarsi agli altri, piccoli mondi tangenti e che non debbono intersecarsi tra di loro: un agglomerato di monadi, come le chiamerà il Leibniz.
Nell’ideologia liberale l’individuo si esalta e si contrappone alla società, distinguendosi dagli altri e affermando una propria dimensione, un proprio significato e un proprio valore che non è riconducibile agli altri. E’ fondamentalmente l’esasperazione individualistica che è, a sua volta la negazione dei valori della collettività e di ogni contributo sociale. E’ esattamente il contrario di ciò che è implicito nel concetto di democrazia. La società democratica non può essere un insieme di individui, ma il risultato del loro incontro, del loro integrarsi, della loro collaborazione. Nella società l’individuo si realizza, perché trova le condizioni per attuare e sviluppare le sue capacità e le sue aspettative, grazie al contributo degli altri. Un bambino, allevato dagli animali, resta un animale, con grave deficit intellettivi, mentre se vive in un contesto umano, ne assimila le sollecitazioni e a sua volta contribuisce al progresso sociale degli altri.
Vittorio Pratola
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