“/”1a puntata
Che pena!
Soloni che dall’alto della loro cultura pontificano su inesistenti sistemi sociali, illustrano con dovizia di particolari ipotetiche realtà utopistiche, senza tener nessun conto di ciò che è nel presente; psicologi che entrano, o pretendono di entrare, nei meandri tenebrosi della psiche umana, alla ricerca dei processi interiori di certi comportamenti; buonisti, tolleranti e comprensivi, che si dicono turbati e colpiti dai fatti ma che esprimono comprensione per chi ha compiuto certe azioni, chiedendone il recupero sociale e umano; opinionisti, quasi sempre politicizzati, che continuano ad addossare la colpa ai propri avversari. Parole, parole, parole che si rincorrono senza alcuna soluzione, puro esercizio di accademiche diatribe.
Un tema, spesso ricorrente tra tante illuminate riflessioni di questi rappresentanti della nostra cultura e della nostra società, è quello che demanda alla scuola il compito e l’onere dell’eliminazione del ripetersi di questi anomali fatti di cronaca, dimenticando l’origine, la natura, la funzione e la struttura reale della scuola. Non posso fare a meno, a questo punto, di citare il mio Maestro che diceva; chi sa insegna e chi non sa insegna ad insegnare
La scuola, come anche ogni essere umano, è legata strettamente al suo tempo e ne è dipendente.
Cominciamo dalla scuola.
La scuola è nata quando gli insegnamenti dei genitori non sono stati più sufficienti a trasmettere alle nuove generazioni gli strumenti essenziali per vivere in una società caratterizzata da ruoli e funzioni diverse da quelle che erano state della civiltà agricolo-pastorale. Nasce, in altri termini, quando subentrano delle differenziazioni sociali. Inizialmente, di fatto, hanno una connotazione religiosa, perché i rappresentanti delle divinità si distinguevano da tutti gli altri e si trasmettevano, con riti più o meno esoterici, le loro conoscenze, così come avviene ancor oggi, perfino in Italia, dove gli sciamani, discendenti degli antichi stregoni, continuano ad operare.
Nascono poi scuole misterico-filosofiche che non hanno ancora la caratterizzazione della scuola come oggi viene intesa, ma dove si discutevano e si confrontavano riflessioni e concettualizzazioni diverse. Erano persone ormai privilegiate che conservavano e trasmettevano il loro status sociale.
Nel quinto secolo a.C., con l’età di Pericle, arrivano in Atene i Sofisti, maestri di oratoria, di dialettica e di eristica, che insegnano ai rampolli delle famiglie benestanti (l’odierna borghesia) le loro abilità oratorie, per fare carriera politica. I Sofisti, pertanto, sono i primi prestatori d’opera educativa a pagamento.
In Grecia, e poi in tutto il mondo romano, continuano a fiorire le scuole filosofiche e quelle mistico-religiose. Tra le scuole più importanti, strutturate a mo’ di atenei, non possiamo fare a meno di ricordare l’Accademia di Platone e la Scuola Peripatetica di Aristotele.
In tutto il periodo medievale, le scuole sussistono ancora. Sono pittori, scultori, architetti, filosofi, spesso ecclesiastici, giuristi, ma anche guaritori (stregoni) che trasmettono ai loro discepoli le proprie conoscenze ed abilità. Con il fiorire nelle città delle arti e dei mestieri, che miglioravano e perfezionavano sempre più le loro tecniche, nascono i maestri di bottega che nei loro laboratori accolgono i giovani, futuri artigiani che daranno il loro contributo originale alle sviluppo e alle trasformazioni delle arti stesse.
La scuola, pertanto, se così vogliamo chiamare la funzione di trasmissione delle conoscenze da una generazione all’altra, è sempre stata elitaria e settoriale, nel senso che ha avuto come suo scopo esclusivo la formazione di specifiche minoranze, anche se, in età moderna, il fine della scuola obbligatoria (obbligatoria sulla carta) era quello di insegnare a leggere, scrivere e far di conto, in vista di un consapevole inserimento sociale. Fine perseguito a parole ma mai effettivamente realizzato; basta pensare che fin oltre la metà del ventesimo secolo erano moltissimi gli adulti analfabeti o analfabeti di ritorno, tanto che fu necessario istituire le scuole reggimentali e le scuole carcerarie, di cui fu studente lo stesso Reina.
In ogni tempo, comunque, scopo effettivo della scuola è stato sempre la differenziazione, ossia favorire la realizzazione di specifiche competenze ed abilità in cui ogni individuo, nella sua singolarità, potesse sentirsi realizzato.
Il discorso non cambia nella seconda metà del secolo scorso, quando si comincia a parlare di scuola democratica. Si rispolvera il significato del verbo educare, che significa trarre fuori, far uscire, per affermare che la funzione della scuola è quella di permettere a ciascuno di esprimere e valorizzare le proprie attitudini e le proprie capacità. E’ pur sempre, infatti, quello che faceva la scuola nel passato: differenziare gli uomini, fare in modo che ciascuno di essi potesse essere quello che poteva e voleva essere. Certamente allora non era appannaggio delle masse, ma soltanto di pochi privilegiati pur anche appartenenti alle classi più umili. Per capirci, pensiamo a Giotto che trovò in Cimabue il suo anfitrione e il suo maestro. Davanti al figlio del contadino, infatti, si apriva una sola strada, quella di fare il contadino, seguendo la tradizione dei suoi antenati. Ideale della scuola democratica è quello di aprire davanti a tutti tante strade, perché ciascuno percorra quella che gli è più congeniale. In altri termini la scuola democratica si propone di permettere a tutti di avere l’uguaglianza del punto di partenza, non del punto di arrivo. Ciascuno ha i suoi talenti ed ognuno ha il diritto di poter conseguire la loro attuazione.
Anche nella scuola democratica, d’altronde, i docenti dovrebbero essere uomini di cultura che hanno acquisito specifiche competenze in una particolare disciplina e che, come i maestri di bottega trasmettono quelle conoscenze che sono il frutto dello sviluppo delle scienze nel tempo, Gli insegnanti non inculcano (uso questo brutto termine tanto di moda nelle polemiche sulla scuola del secolo scorso), ossia non registrano nella mente dei discenti le loro conoscenze, ma li rendono partecipi degli strumenti culturali che permettano loro di auto-educarsi, ossia di trovare la strada della propria formazione. E’ di fatto un aiuto essenziale per sollecitare l’autonomia culturale, perché fornisce gli strumenti essenziali per inserirsi sulla strada del progresso scientifico e tecnologico aperta e percorsa dagli altri uomini, nel tempo, anche se, senza l’impegno del discente, tale aiuto non ha nessuna efficacia.
Vittorio Pratola
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