MEZZI DI COMUNICAZIONE E FATTI DI CRONACA NERA

4° puntata

  La scuola vive e propaga il processo di massificazione, perché anche quei pochi docenti che continuano ad essere maestri, perché gratificati dai risultati conseguiti nel rapporto diretto con una parte degli studenti, sono demoralizzati e si adeguano alle disposizioni vigenti, dando a tutti una valutazione positiva, puramente formale.

   Ma i Soloni continuano a pontificare su ciò che deve fare la scuola, proponendo nuove direttive, interventi particolari, discipline innovative e chi più ne ha più ne metta, perché i docenti da esperti delle diverse discipline divengano riformatori, apostoli di una società perfetta che li sostenga in una realtà idilliaca, fuori del loro tempo.

   D’altra parte chi sono e che cosa sono i beneficiari della scuola?  I giovani non sono forse anche loro espressione del loro tempo?  Le nuove generazioni vivono quotidianamente il modo di essere della società che sempre più accentua la rivendicazione del diritto ad avere.  L’evoluzione economica ha, in parte, contribuito ad avvalorare la convinzione che fosse possibile soddisfare tale richiesta e l’involuzione della politica e del sindacalismo ha sostenuto e continua a sostenere questa chimera, promettendo, per motivi di potere, la giusta distribuzione di tutto a tutti, indipendentemente dal contributo di ciascuno.   Il clima illusorio, che i giovani, e non soltanto i giovani, respirano quotidianamente, sembra essere reale, grazie al progresso economico e sociale che, in parte, concorre a farlo sembrare possibile.  I giovani chiedono ed hanno, anche se a volte i genitori si svenano per soddisfare ogni loro richiesta.  La scuola, nella sua dipendenza dal formalismo sociale che la permea, subisce un accondiscendente buonismo, che lascia effettivamente ciascuno nei propri limiti culturali.  I giovani vogliono ed hanno il rispetto, l’uguaglianza, la considerazione, perché dovuto, ma tutto è soltanto formale.  Basta pensare ai termini da usare per non offendere chi ha delle diversità psico-fisiche, confondendo il rispetto per la persona umana con il non vedere tali diversità e, sempre formalmente, vengono considerati uguali agli altri e trattati alla stessa maniera, quando invece, dovrebbero essere messi in condizione di avere le stesse possibilità di crescita, con strumenti e situazioni ambientali appropriate.  Gettarli nel mucchio è, per i grandi competenti della società, renderli uguali agli altri!

   I progressi tecnologici e la diffusione capillare dei mezzi di comunicazione accentuano il formalismo della società moderna e il vuoto interiore che ad esso si accompagna.  I giovani, in particolare, subiscono sollecitazioni visive e uditive incessanti, ma non è da meno per gli adulti.  La corsa all’avere è frenetica, perché quello che si ha è sempre poco ed è sempre al di qua di quello che i personaggi dello spettacolo, dello sport, della politica, in una parola di coloro i quali rappresentano gli ideali sociali del momento, come gli influencers di turno, propongono.  E’ una corsa continua a cercare di adeguarsi a loro, formalmente, perché il vuoto interiore cerca una sua forma esteriore, in cui ritrovarsi.  In tal modo, soprattutto i giovani che sono privi di un personale punto di riferimento, cercano una propria identità adeguandosi ai modelli di moda, accentuando in tal modo, il processo di imbrancamento e di uniformità formale che caratterizza la società attuale.

   Le sollecitazioni che vengono dai mezzi di comunicazione, immagini e suoni incessanti, frenetici e frastornanti, non riescono a diventare vita interiore, sia perché i soggetti non sono in grado di riceverle criticamente, sia perché si rincorrono e si accavallano senza interruzione.  E’ un mondo di immagini che nulla ha con la realtà in cui il soggetto non è più soggetto ma oggetto, perché vissuto dall’esterno.  Manca il silenzio, manca cioè il momento in cui il soggetto personalizza le sollecitazioni che gli vengono dall’esterno, elaborando una sua, originale, autentica assimilazione, ossia la propria dimensione personale.

Chi non ha avuto la possibilità di costruire un sé al quale far riferimento nel rapporto con il mondo esterno, non può fare altro che subirlo e quando la realtà dell’esistenza pone di fronte alle prime difficoltà l’unico comportamento a cui ricorrere è quello istintivo:  la violenza.

    Così la violenza della società entra prepotentemente anche nella scuola, dove il confronto con i coetanei rende più facile la consapevolezza dei propri limiti e della propria incapacità. 

   D’altra parte, il vuoto interiore che permea diffusamente la nostra società, fa cercare nel frastuono, nelle formalità un significato della propria dimensione  individuale, ricorrendo all’uso di droghe sempre più pesanti ed aggressive o entrando a far parte di bande e consorterie malavitose e settarie.

    Non è la scuola che può trasformare la società, ma soltanto gli uomini che la compongono:  Certamente non quelli che pontificano nel vuoto formalismo accademico di una società malata, proprio perché incapace di restituire a ognuno una dimensione propria, il valore individuale, la personalità.

   E’ triste, ma bisogna dire che la guerra, con la sua violenza, le sue sofferenze, la sua ferocia, come anche le  grandi catastrofi naturali, sono le condizioni che restituiscono all’essere umano la volontà e la capacità si rientrare in se stesso, di rimboccarsi le maniche e ridiventare faber fortunae suae.  E’ proprio nei momenti di grande tragedia che l’uomo riscopre le sue capacità di reazione e apprezza quanto riesce ad ottenere con le sue forze.  Ritrova e riscopre il senso di una vita operosa in cui trova anche la soddisfazione di attivare e valorizzare se stesso, ma soprattutto riemerge quell’umanità, quel senso della collettività che si perde quando è prevalente il solipsismo e l’individualismo esasperato.  In quei terribili momenti, anche se non mancano mai gli sciacalli, bestiali espressioni della ferinità umana, ci sono e ci sono state tante persone anonime che hanno compiuto e compiono gesti eroici, a rischio della loro vita, nei confronti perfino dei nemici.  E’ in quei momenti che la solidarietà, l’altruismo, il disinteresse personale, il senso dell’umanità tornano a vivificare le relazioni sociali e a restituire al singolo la sua vera dimensione sociale.

  Sono testimone che mia madre, presunta vedova di guerra, con quattro figli, ha ospitato un giovane ricercato dai tedeschi per l’arruolamento, di cui ricordo ancora il nome. Successivamente ha accolto tre partigiani, di cui uno francese, dividendo con loro lo scarso vitto disponibile. Successivamente ancora, ha protetto un giovane tedesco in fuga, solo perché erano stati condotti, tutti, da mio fratello sedicenne.  Sono atti compiuti con la spontaneità e la semplicità di chi riesce a vivere empaticamente anche le sofferenze degli altri ed agire di conseguenza e che possono esserci solo quando nella società si riconquista il valore dell’umana operosità.

Vittorio Pratola

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