2° parte
Il presente è l’immortalità del passato, di tutto il passato, compreso quello che eticamente viene considerato negativo, ma che è pur sempre costitutivo della novità del presente.
Il retaggio ancestrale non è un deposito statico, è una forza dinamica come lo sono tutti gli altri fattori che diventano parte di noi nel loro processo di integrazione nell’unità dinamica del nostro io. E ogni io è una novità rispetto a ogni altro e dal loro processo di integrazione e di trasformazione scaturisce la civiltà.
Io non sono la gemma apicale di un ramo di un albero che ha tanti altri rami, un tronco e molte radici, ma un fronte che ha compresso in sé, amalgamato e incidente, come sua struttura dinamica, come fronte che avanza modificandosi e costituendosi diversamente, senza perdere mai tutto ciò che gli viene dalla schiera infinita dei suoi antenati e da tutte le esperienze di un passato individuale che è il suo presente. Tutto il mio passato è incidente, operante e vivo nel mio presente, anche se non apparente.
Sant’Agostino diceva che esistono il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro, come aspettazione, ma in effetti esiste solo il presente perché il passato e il futuro sono in quanto rendono così come è il presente. Ciò che l’io riceve dall’altro, sia nei rapporti umani diretti, sia attraverso le relazioni culturali, i libri, i graffiti, le memorie, le testimonianze di ogni genere non sono elementi ricevuti passivamente, ma fattori attivi che gli appartengono perché sono le sue reazioni, le sue prospettive di accoglimento e quindi le sue interpretazioni, cioè sono momenti attivi e dinamici soltanto suoi.
Cerco di esemplificare attraverso un’esperienza personale. Giovane assistente di filosofia, discutevo con un collega un po’ più anziano, di maschi e femmine. Io difendevo la tesi che non ci sono differenze sostanziali tra i due generi, mentre il collega sosteneva la tesi contraria. Una discussione accademica che lasciò ciascuno con le proprie convinzioni. Un anno dopo ci ritrovammo a discutere lo stesso argomento ma le posizioni si erano capovolte: il collega sosteneva l’uguaglianza tra maschi e femmine, mentre io la loro diversità. Ognuno di noi aveva assunto la tesi dell’altro, nel senso che una parte dell’uno era diventata parte costitutiva del presente dell’altro.
Sono tuttora convinto della validità di quella mia seconda tesi, non soltanto perché la differenziazione dei sessi è la perfetta specializzazione della vita per la sopravvivenza della specie, ma soprattutto perché ogni individuo è diverso da ogni altro individuo, ed è lo stesso individuo ad essere diverso, in ogni attimo della sua esistenza, nel suo presente, da se stesso, se continua a vivere.
La dinamicità dell’io è data dall’apporto continuo di stimoli dalla sua dimensione culturale, ossia dall’attivazione di quell’ardore ch’io ebbi a divenir del mondo esperto e delli vizi umani e del valore (come lo definisce Dante). La continuità delle relazioni umane, delle stimolazioni culturali, dell’apertura al nuovo e al diverso rende possibile e attuale il presente ossia il nuovo modo di essere di tutto il nostro passato. Gli altri, la loro cultura, in qualche modo, il nostro modo di assimilarli, entrano e restano in noi a costituire la nostra identità irripetibile e pur sempre diversa nella sua continuità.
La mancanza di un ambiente culturale, di nuove e diverse esperienze umane, rendono il passato un presente statico, ripetitivo: l’esistenza si smorza in una vita vegetativa senza interessi, senza stimoli, abitudinaria.
Pratola Vittorio
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