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  • 13. IL CITTADINO

      Il cittadino, in quanto tale, è come una facile preda indifesa che si trova in un territorio dove ci sono tantissimi branchi di predatori: da un momento all’altro può incappare in uno di essi e allora fa una brutta fine!

      Lo Stato democratico è il risultato di un equilibrio, più o meno stabile, tra moltissimi gruppi di potere, da quelli costituzionali a quelli sociali e politici, da quelli palesi e quelli occulti che si combattono e si controllano vicendevolmente.  Se un gruppo di potere riesce ad avere il sopravvento sugli altri si realizza lo Stato totalitario che è pur sempre una democrazia.

     La forza della democrazia, che riesce a conservarsi e a rinnovarsi continuamente, è data proprio dalla molteplicità dei gruppi di potere che la costituiscono e la rendono stabile.  Quando e se un gruppo di potere comincia a diventare troppo forte o troppo aggressivo, tutti gli altri riescono a coalizzarsi e a costituire un nuovo equilibrio che si configura in una nuova maggioranza.

       Il cittadino è e resta soltanto una pedina che subisce la trazione e la pressione di tutti i gruppi di potere che continuano a perseguire i propri interessi e a difendere i propri privilegi senza curarsi effettivamente dei problemi del cittadino se non in misura di quello che serve per conservare ed aumentare il proprio tornaconto.

       Prendiamo ad esempio il problema della fame nel mondo: chi ha fame, ha fame e basta e cerca, come può, di mangiare; chi si pone il problema della fame è chi ha mangiato e continua a mangiare senza rinunciare mai al cibo.  Sono gli altri a dover pensare come procurare il cibo a chi non lo ha e così tutti quelli che mangiano continuano a mangiare e quelli che non mangiano continuano a morire di fame!

       Altrettanto si può dire per le iniziative umanitarie e per la fratellanza.  Sono manifestazioni dell’affettività dei singoli individui o meglio delle loro emozioni di fronte a tragedie che colpiscono altri uomini.  Ma l’emozione, per quanto intensa, non è duratura.  Solo per pochi diventa sentimento da cui comportamenti di abnegazione, di sacrificio e di dedizione. Normalmente scompare in breve tempo o diventa senso di autoesaltazione, ovvero motivo ideologico di comportamento. E così nascono le istituzioni umanitarie in cui emergono professionisti dell’assistenza che nulla hanno della spontaneità e della gratuità dell’altruismo e in breve tempo si trasformano in centri di potere che entrano nell’agone della società democratica.

       I problemi del cittadino vengono alla ribalta soltanto per rinfacciare agli altri di non prenderli in considerazione e, in tal modo, aumentare il proprio peso nello scontro dei poteri.  Basta pensare all’enorme differenza che c’è tra le retribuzioni di chi svolge le stesse mansioni lavorative: un usciere della Camera dei deputati e un usciere di una banca; un barbiere del Senato e un artigiano libero professionista.  Ma di esempi se ne possono fare tanti e soprattutto sono eclatanti quando si parla di caste, le caste del potere, le classi privilegiate che si attribuiscono premi ed emolumenti anche per attività che non svolgono.

       Il cittadino resta un agnello in mezzo a tanti lupi!

    Vittorio Pratola

  • 12. LA BONOMIA DEL C.d.S.

       Dopo tanti ritardi nell’esecuzione degli ordini dell’Eccellentissima Corte da parte dell’Amministrazione, arriva una penale:  150 euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione degli ordini della Corte, a decorrere dal trentunesimo giorno dalla pubblicazione dell’Ordinanza.  Questa volta, con soli otto giorni di ritardo, l’Amministrazione procede (a questo punto, infatti può intervenire la Corte dei Conti che può non rivolgersi all’Amministrazione ma a una persona reale responsabile).

       L’esecuzione della sentenza, tuttavia, non è valida ed è il C.d.S., ancora una volta, a sancirlo.  Passano così altri mesi e si giunge a una nuova esecuzione, questa volta accettata dal ricorrente.  L’Amministrazione fa i suoi conteggi e dimentica di calcolare la penale per i giorni intercorsi tra la prima offerta e la seconda (si tratta di circa 40.000 euro!)

      Alla richiesta del ricorrente, il C.d.S., considerando giustamente che l’Amministrazione ha risposto tempestivamente, anche se parzialmente alla sua sentenza, sancisce che al ricorrente spettano soltanto 450 euro perché l’Amministrazione ha calcolato male i giorni intercorsi tra la fine del mese e il giorno in cui ha prodotto l’offerta, annullando la penale relativa a circa dieci mesi di ritardo.

       Giustizia è fatta:  un poco per uno non fa male a nessuno!

       Ora il ricorrente sa che può sperare di farsi pagare dall’Amministrazione, con i dovuti ricorsi al C.d.S., a sue spese, ben 350 euro tra tre o quattro anni!

    Vittorio Pratola

  • 11. C.d.S.  E LE INTERPRETAZIONI DELL’AMMINISTRAZIONE

       Le sentenze del C.d.S. sono inappellabili ma eventuali ripensamenti sono sempre possibili quamdo, nel momento dell’ottemperanza, l’Amministrazione decide che la sentenza vada interpretata riduttivamente a suo vantaggio.

       Il caso emblematico è la sentenza del TAR che non solo ha riconosciuto legittime tutte le richieste di un cittadino che si è sentito leso nei suoi interessi, condannando altresì l’Amministrazione al pagamento delle spese processuali e dell’onorario dell’avvocato, ma che ha addirittura aumentato la somma risarcitoria.   Probabilmente il TAR ha tenuto presente la pesante svalutazione del denaro che si è avuta con il passaggio dalla lira all’euro;  della lentezza della burocrazia nell’ottemperare alle sentenze;  dell’esiguità degli interessi che l’Amministrazione deve corrispondere e delle tasse che lo Stato impone sui rimborsi che arrivano anche a dimezzarli.

       Il C.d.S. non è d’accordo con le decisioni del TAR:  eccessive le richieste del cittadino e quindi non del tutto accettabili, per cui non riconosce tutti i risarcimenti da esso deliberati e compensa addirittura le spese:   non si può condannare lo Stato a tanto dispendio finanziario, non è giusto che un cittadino percepisca un rimborso così elevato (si parla di ben quattro o cinquecentomila euro, con la rivalutazione e gli interessi di soli trentacinque anni!),   soprattutto se il cittadino è un semplice professore che ha uno stipendio già tanto sostanzioso.

       Tuttavia nella stesura della sentenza il C.d.S. conferma, senza modificare la locuzione del testo del TAR come professore ISEF con la locuzione come professsore di liceo.  La decisione è del tutto consapevole, visto il suo rifiuto di riconoscere al ricorrente il danno pensionistico, perché inesistente in quanto dipendente dello Stato.

       La decisione del TAR non era stata neanche contestata dall’Avvocatura dello Stato, ma l’Amministrazione la considera errata (una decisione del C.d.S. può essere errata se è inappellabile?) e i suoi conti la ignorano.   Le rimostranze del cittadino cadono nel vuoto perché il C.d.S., compiacente ed ossequiente alle decisioni dell’Amministrazione statale, ha la facoltà di decidere a livello semantico e a livello logico come vanno interpretate le sue sentenze, inppellabilmente, per giustificare l’operato dei funzionari dell’Amministrazione a difesa degli interessi dello Stato che poi li compenserà con più consistenti premi di produttività.

    Vittorio Pratola

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  • 10. C.d.S.  E SPESE PROCESSUALI: gli sterili, onerosi sforzi del malcapitato cittadino.

    In un contenzioso che ha inizio ai primi anni del 1980 tra un privato cittadino e l’Amministrazione statale e che trova sentenza non oppugnabile del C.d.S. nel 2017, poco o quasi niente si è parlato di spese processuali.

    Nella sentenza inappellabile del 2017, con una giustificazione di logica pura, il C.d.S. compensa le spese, forse tenendo conto che l’Amministrazione è stata condannata a risarcire un danno patrimoniale.

       Si dà il caso che l’Amministrazione, sebbene controparte interessata sia stata incaricata di calcolare l’entità del risarcimento, non ha tempo né intenzione di ottemperare a un ordine che, in fondo, di chi è:  di un organo dello Stato di cui essa è la struttura, ossia l’essenza.

       Di fronte all’inottemperanza e la tacita indifferenza dell’Amministrazione, il cittadino non ha altra scelta che presentare umile istanza all’eccellentissimo C.d.S., ricorrendo al dovuto  e legale patrocinio di un avvocato.  Il C.d.S. che fa?  Ordina di nuovo, con tanta tolleranza per i carichi di lavoro dei burocrati, ma non tiene conto  delle spese che il cittadino ha dovuto sostenere.  Probabilmente ha ritenuto che il risarcimento che gli sarà proposto sarà sufficiente a compensarlo anche di queste spese.

       Passano i mesi, ma l’Amministrazione proprio non si cura di chi ordina.  L’Amministrazione è un’entità astratta:  non ha orecchi per sentire e non ha nessun timore di non sentire.

       Il misero cittadino è pervicace e ricorre di nuovo all’eccellentissimo C.d.S.

        Questa volta, senza offendersi, per la sua benevolenza, questi  concede magnanimamente un altro mese di proroga per effettuare il conteggio, ma temendo che il suo ordine non sarà eseguito, nomina un Commissario ad acta che assumerà il suo compito alla scadenza del mese.  E le spese sostenute dal misero cittadino, le sue ansie, le sue aspettative, la sua rabbia chi le paga?  Non è un problema del C.d.S. che non ha tempo e interesse di prenderlo in considerazione.

       L’Amministrazione resta sorda e il Commissario ad acta è troppo impegnato nella sua alta funzione per dare ascolto ad un ordine della Magistratura amministrativa.

       La rabbia e la pervicacia del misero cittadino che insiste nei suoi ricorsi all’eccellentissimo C.d.S., questa volta lo convincono a usare la mano pesante, perché concede un altro mese ma minaccia una penale pecuniaria giornaliera.  Anche questa volta nella sentenza non c’è nessun accenno alle spese di giudizio.  E’ un problema del ricorrente:  se è così petulante, paghi!

       Alla minaccia della penale giornaliera, dopo diversi giorni dalla data di scadenza del mese di proroga, l’Amministrazione offre un risarcimento in cui interpreta molto riduttivamente la sentenza del C.d.S.

       Il misero cittadino è costretto, suo malgrado, a ricorrere di nuovo all’eccellentissimo C.d.S.

       Questi, con logica stringente e convincente e con brillante interpretazione semantica, giustifica in parte il calcolo dell’Amministrazione, perché le sentenze del C.d.S. sono inappellabili ma dall’Amministrazione sono interpretabili riduttivamente, anche se le ricorda che deve attenersi alla sentenza.  Per ottemperare a questo nuovo ordine concede all’Amministrazione un altro mese di tempo e, per essere coerente con se stesso, rinomina il Commissario ad acta che assumerà la sue funzioni al termine del mese di proroga.  Questa volta, però, si ricorda che l’Amministrazione deve pagare una piccola parte delle spese di giudizio, anche se dimentica o almeno non ritiene necessario ricordare all’Amministrazione della penale giornaliera che non si sa per quanti giorni debba essere pagata e che l’Amministrazione non ha affatto considerato. Forse la piccola somma  per spese di giudizio serve a compensare la consistente riduzione della somma calcolata dall’Amministrazione ed avallata dal C.d.S.

       Venuta meno la minaccia della penale, Amministrazione e Commissario ad acta riassumono   la loro fisionomia:  ridiventano sordi, indifferenti ed indolenti.  Ricomincia la farsa, sempre a spese del cittadino inerme  contro l’agguerrita burocrazia che non teme la Legge, con gli ordini della Magistratura amministrativa che si perdono nell’etere come quegli squilli di tromba nelle caserme ai quali segue il silenzio!

    Vittorio Pratola

  • 9. GIUSTIZIA E BUROCRAZIA

    Giustizia e burocrazia sono due termini astratti?  No, sono due termini concreti che camminano su delle gambe reali che fanno di tutto per non apparire e conservare la loro impersonalità!

    La giustizia e la burocrazia, o meglio l’Amministrazione dello Stato, sono entità complesse, superindividuali, potremmo dire senza fisionomia, senza caratterizzazioni.

     La Giustizia non è la donna con la bilancia in mano e neanche la faccia severa del giudice che fa pensare a Minosse che “GIUDICA E MANDA SECONDO CHE AVVINGHIA”.  E’ un valore ideale, una forza misteriosa immutabile, identica a se stessa, fuori dal tempo e impersonale.  Non ha sentimenti, non soffre di simpatia o antipatia, è quella bilancia serena e impassibile che pesa tutti alla stessa maniera.  La Legge è uguale per tutti e la Giustizia è la sua oggettivazione.

     La burocrazia è una facciata, una facciata dietro cui tutto diviene evanescente e contemporaneamente implacabile e incombente, ma è la struttura dello Stato e quindi la sua essenza.  Senza burocrazia non esisterebbe lo Stato in quanto tale ed è la sua visibilità.

    Ambedue sono la LEGGE!  Per questo ogni conflitto tra di loro non può sussistere.

    Cerchiamo di chiarire:  la giustizia, attraverso i suoi organi, parla, sentenzia, decide e la sua sentenza è inappellabile.  Anche la burocrazia impone i suoi dictat e gli eventuali contenziosi con i cittadini sono rimessi ad un organismo che come essa è dello Stato.  Quando la Giustizia pretende di parlare con la Burocrazia è una voce che parla nel deserto, perché la Burocrazia non ha orecchi;  è come la Giustizia:  impersonale.

    Tuttavia, come si è detto, camminano su delle gambe:  funzionari e giudici e sono questi che rendono le due istituzioni concrete e personali.   Le loro azioni diventano impersonali  perché sono la Legge.  E così si giustifica la non responsabilità del giudice, irresponsabilità che rivendicano legittimamente i burocrati e che alcune sentenze riconoscono.  Se l’Amministrazione dello Stato non ottempera ad un ordine della Magistratura non è perseguibile e sembra ingiusto far ricadere la colpa su un povero funzionario che sta facendo l’interesse dello Stato!  Le gambe però non hanno volto soprattutto quando commettono errori anche se contemporaneamente ridiventano persone quando devono premiarsi per quello che ritengono di aver fatto (il cosiddetto premio di produttività di molte amministrazioni dello Stato). Da qui l’indolenza e la tracotanza di certa burocrazia  e anche l’atteggiamento restio di certe sentenze del C.d.S. di irrogare penali pecuniarie perché potrebbe configurarsi il reato di danno erariale che ricade sui burocrati.

    E la Giustizia?

    Vittorio Pratola

  • 8.  CITTADINO E BUROCRAZIA.

    La legge è uguale per tutti. E’ vero, ma per la burocrazia diventa elastica:  non è così rigida ed implacabile come per il cittadino.

    Già dall’etimologia la burocrazia è un potere, il potere dell’ufficio, e quindi dell’ufficiale che lo detiene, che si erge impersonale di fronte al cittadino che potere non ha. Che armi ha il cittadino se entra in conflitto con la burocrazia?  Nessuna arma.  La burocrazia può diffidare ed imporre sanzioni, può multare, sequestrare beni, può mettere le ganasce, può pignorare se il cittadino è debitore nei suoi confronti. E’ un potere e lo esercita così come conviene.  D’altra parte è nel giusto perché applica la Legge!

    Se è il cittadino ad essere creditore della burocrazia, questa ha il potere di dilazionare i tempi a suo piacimento.  Certo il cittadino può ricorrere alla Legge ma la burocrazia ha un’arma infallibile.  E’ quella usata dai vecchi padroni quando un servitore si rivolgeva alla Legge:  stanca l’avvversario!  Prolungare i tempi del contenzioso (vista anche la lentezza della Giustizia) non solo esaurisce le finanze del cittadino ma anche la sua esistenza. A ciò si aggiunga che spesso le cancellerie dei tribunali chiedono ai ricorrenti se hanno ancora intenzione di continuare dopo tanti anni di attesa.

    Se ciò non basta la burocrazia fa appello alla tollerante comprensione dei giudici e il cittadino muore, dopo trentacinque o quarant’anni di contenzioso, felice di sapere che ha lottato contro i mulini a vento.

    Vittorio Pratola

  •  7. GIUSTIZIA ED ERARIO

    Certo il contenzioso giudiziario costa molto allo Stato.  Per questo una spesa fissa del suo bilancio è l’Avvocatura dello Stato, anche se non si capisce perché se l’amministrazione è soccombente paga, mentre se vince incassa l’avvocato di Stato.

    Il C.d.S. è consapevole dell’aggravio finanziario delle sue decisioni e fa di tutto per venire incontro allo Stato.

    Se il ricorrente si è permesso di quantificare il danno subìto oltre quello che lo stesso C.d.S. ritiene effettivo, le spese di giudizio vengono compensate e così dopo circa trent’anni di contenzioso e una sentenza del TAR che condannava l’Amministrazione al pagamento delle spese processuali, lo Stato può risparmiare qualcosa.

    Ma non basta!  Perché oberare di spese l’Amministrazione se il ricorrente si ostina a presentare istanze su istanze, mai soddisfatto degli ordini ineseguiti del C.d.S.?  Le sue spese non possono essere addebitate all’Amministrazione ma soltanto alla sua pervicacia!  Perciò si accontenti di aver vinto la causa e aspetti con pazienza le decisioni dell’amministrazione.

    Vittorio Pratola

  •  6. GIUSTIZIA E PERSEVERANZA

    La giustizia non teme il tempo e resta uguale a se stessa.

    Il C.d.S. ha ordinato ad un Commissario ad acta, dopo aver concesso all’Amministrazione mesi e mesi, che si cumulano in anni, senza  una risposta esecutiva, ha ordinato si diceva, ad un Commissario ad acta, di procedere in sostituzione dell’Ammistrazione stessa.  Anche il Commissario ad acta resta sordo all’ingiunzione e il C.d.S. cosa fa?  Non demorde, persevera e concede un altro mese all’Amministrazione, alla scadenza del quale rinomina il Commissario.

     Certo non si può negare che il C.d.S. sia paziente e perseverante,  costante  e uguale a se stesso nel tempo!

    Vittorio Pratola

  • 5. GIUSTIZIA ED EQUITA’

    Se c’è un contenzioso tra due persone che non trovano l’accordo tra loro su quanto dare o ricevere, è dal tempo di Salomone, ed anche prima, che ci fosse una terza persona a decidere le spettanze.  La giustizia ascolta le richieste delle parti ed equamente decide.  Anche il C.d.S. fa altrettanto e indica le direttive da seguire senza quantificare tali spettanze:  delega una delle parti a calcolare il dovuto.  E’ una prassi senz’altro giusta fino a quando l’interesse di parte non permanga.  Ma se questo interesse ritarda pervicacemente e ripetutamente l’esecuzione della sentenza, resta una prassi di giustizia?

    Vittorio Pratola

  • 4. GIUSTIZIA E BENEVOLENZA

    Il terzo ordine del C.d.S., come il secondo, è disatteso, anche perché il Commissario ad acta, un alto funzionario della pubblica Amministrazione, può impunemente incorrere nel reato di omissione di atti di ufficio, forse perchè la denuncia alla Procura della Repubblica ha tempi lunghi per essere presa in considerazione o forse perché l’interessato si ritiene non perseguibile penalmente, così come ancora avviene dopo anni dalla denuncia alla Procura|

    Questa volta il C.d.S. concede un altro mese, ma minaccia, alla scadenza, una penale giornaliera.  E’ effettivamente solo una minaccia perché l’Amministrazione risponde, anche se in modo non esaustivo, della sentenza tanto per interrompere i tempi della penale, ma con ritardo di sette giorni per i quali non calcola tale penale.  E il  C.d.S. che fa?  Benevolmente ignora l’umile voce del tapino  ricorrente che ha tentato di farglielo notare!

    D’altra parte l’Amministrazione è un’entità astratta, un organismo superumano, impersonale, che non provoca risentimento se non si degna di obbedire agli ordini ricevuti, ma che nei suoi tempi e nella sua interpretazione risponderà!

    Vittorio Pratola